di Andrea Parente (fonte: jazzit.it)
Intervistiamo David Kikoski, classe 1961, musicista statunitense di eccezionali doti tecniche e con una straordinaria personalità umana e artistica. Diplomatosi in pianoforte al Berklee College of Music di Boston, si trasferisce a New York nel 1984, dove intraprenderà una lunga collaborazione musicale con il batterista Roy Haynes. Ha suonato inoltre al fianco di celebri musicisti quali John Scofield, Peter Erskine, Michael Brecker, Chris Potter, Joe Henderson, Dave Holland, Mike Stern, Jeff “Tain” Watts, John Patitucci, Toots Thielemans, Tom Harrell e Marcus Miller. Più recentemente il pianista americano ha vinto un Grammy Award nel 2011 con la Mingus Big Band per l’album “Live At The Jazz Standard” nella categoria “Best Live Jazz Ensemble Album”. Ha anche ricevuto una nomination ai Grammy con Roy Haynes per il CD “Birds Of A Feather”. Ora è in tour in Italia, accompagnato da Alexander Claffy al contrabbasso ed Elio Coppola alla batteria.
Raccontaci in breve la tua storia. Come ti sei avvicinato al jazz?
Ho imparato il jazz da mio padre. Dopo aver appreso le basi, mi ha fatto conoscere la musica di Duke Ellington e di Count Basie. E da lì è nato tutto.
Quale album della storia del jazz ti ha maggiormente influenzato?
Uno dei miei album preferiti è “Jazz At Massey Hall” con Charlie Parker, Dizzy Grillespie, Max Roach, Charles Mingus e Bud Powell. Ogni volta che lo ascolto mi suona più moderno di qualsiasi altra cosa.
Come hai conosciuto Roy Haynes? Hai qualche aneddoto da raccontarci?
Ho incontrato Roy Haynes in un piccolo club di Long Island vicino a casa sua dove suonavo con il batterista Les DeMerle. Dopo averci scambiato due chiacchiere, gli ho dato il mio numero di telefono. Il giorno dopo mi ha chiamato e mi ha detto: «Scommetto che non pensavi che ti avrei chiamato così in fretta». Sono andato a casa sua e dopo aver suonato un po’ mi dice: «Sei un figlio di…Vuoi venire in Europa con un vecchio?».
Collaborando con tantissimi grandi nomi del jazz, qual è stato l’insegnamento più importante che hai ricevuto?
Probabilmente ho imparato più da Roy che da chiunque altro, perché è non solo uno tra i più grandi musicisti di tutti i tempi, ma ha anche suonato con tutti i miei eroi. Mi ha mostrato come gestirmi in tour, on the road, come condurre una band, etc. Mi ha insegnato tutto.
Il tuo stile trae ispirazione da svariate fonti e presenta un distillato sapientemente equilibrato della storia del piano jazz. Come si sviluppa il tuo iter compositivo? Come curi l’aspetto narrativo dei tuoi dischi?
Il mio processo compositivo si sviluppa innanzitutto attraverso l’ascolto e la sperimentazione al pianoforte. Inoltre studio e ricerco tanta musica classica e analizzo e leggo molti libri sulla composizione. Recentemente ho studiato su un libro scritto da Arnold Schönberg che esplora e analizza tutti gli stili e le tecniche compositive.
A quale tuo progetto discografico sei più legato? Che emozioni provi una volta compiuto un album? E quali sono le sfide che ti poni ad ogni concerto?
Per i miei dischi di solito registro ciò su cui ho lavorato prima di quel momento, a meno che non mi venga in mente un concetto speciale per un album come “The Maze”, in cui tutte le canzoni sono collegate come in una suite. La sfida principale, oltre alla musica stessa, è ottenere il suono corretto in ogni venue. A volte il pianoforte ha bisogno di essere messo a punto o l’attrezzatura audio deve essere regolata. Dopo di che, suono e mi nutro della buona energia che ricevo dalle persone presenti nel pubblico.
Nel 2011 hai vinto un Grammy Award con la Mingus Big Band. Quanto è importante per un artista essere riconosciuto in un settore così competitivo come quello musicale?
È importante essere riconosciuti per la propria arte, ma per me, se riesco a far sentire bene me stesso e la band alle persone che mi stanno ascoltando, le cose di solito funzionano bene.
Il Covid-19 ha letteralmente cambiato le nostre vite, e il settore artistico è stato quello che ha dovuto affrontare le maggiori difficoltà. Come hai reagito a tale situazione?
Stiamo ancora risentendo degli effetti del Covid, ma spero che le cose pian piano possano migliorare. In questo periodo così difficile per tutti noi ho cercato di impiegare al meglio il mio tempo esercitandomi molto, oppure insegnando online, dato che molti tour e concerti sono stati cancellati.
Che emozioni provi nel tornare a esibirti davanti al pubblico?
Sono molto felice di ritornare a esibirmi in Italia con Elio e Alexander. Eravamo già in tournée in Italia proprio quando è iniziata la pandemia e adesso ricominceremo da qui.
L’Italia e l’America sono due realtà che hanno sempre avuto un fortissimo legame, sia a livello storico che culturale. Che considerazione hai nei confronti del nostro Paese?
I miei nonni sono italiani e ho un amore speciale per questo Paese. È come tornare alle mie radici!
Quali saranno le tappe del tuo tour italiano?
Mi esibirò insieme ad Elio Coppola alla batteria e Alexander Claffy al contrabbasso il 25 novembre all’Alexanderplatz Jazz Club (Roma), il 26 novembre al Jazz Club (Potenza), il 27 novembre al Teatro Salvo d’Acquisto (Napoli) e il 28 novembre al Lavori In Corso (Latina). Non vedo l’ora di iniziare!